Chiodatura e non solo

Finalebythomas-chiodatura-spitLO SPIT… QUESTO PICCOLO AMICO
Iniziamo col dire che, la parola spit, tradotta letteralmente dall’inglese, significa sputo.
La motivazione di questo nome pare sia dovuta alle dimensioni molto ridotte di questo tassello.
In realtà, spit è il nome dell’azienda che produce questo ed altri tipi di tassello. La denominazione del tassello tipo “spit” è in realtà molto più lunga e complessa e, per cui, non si utilizza abitualmente ne tanto meno si conosce tra gli arrampicatori. […]

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COME NASCONO I FITTONI INOX RAUMER…
Tutto ha inizio da una barra di TRAFILATO in acciaio inox ” AISI 304L”.
L’acciaio 304L ha particolari caratteristiche di “resilienza (tenacità)” che lo rendono particolarmente adatto all’utilizzo per l’arrampicata sportiva. La lettera “L” sta a significare che l’acciaio è “solubilizzato”; la solubilizzazione è un trattamento che aumenta la resistenza alla corrosione. […]

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Finalebythomas-chiodatura-rinviiRINVIO A MODI DI DIRE…

La parola rinvio nella lingua italiana assume vari significati a seconda del contesto ma, in linea generale, ha il senso di mandare indietro, mandare di nuovo, respingere, rispedire. Trattandosi di arrampicata sportiva la parola rinvio è riferita ovviamente alla corda la quale viene per cui “mandata indietro, respinta, allontanata” dal chiodo di protezione.

L’abbinata moschettone/fettuccia/moschettone non ha un suo nome proprio come può essere la corda, il grigrì, l’imbrago, ecc…

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LO SPIT… QUESTO PICCOLO AMICO

Iniziamo col dire che, la parola spit, tradotta letteralmente dall’inglese, significa sputo.
La motivazione di questo nome pare sia dovuta alle dimensioni molto ridotte di questo tassello.
In realtà, spit è il nome dell’azienda che produce questo ed altri tipi di tassello.
La denominazione del tassello tipo “spit” è in realtà molto più lunga e complessa e, per cui, non si utilizza abitualmente ne tanto meno si conosce tra gli arrampicatori.
Il nome completo è “Spit Roc, ancorante autoperforante con filettatura interna“.

Nell’ambiente dell’arrampicata sportiva si ha la tendenza ad utilizzare la parola spit per indicare qualsiasi tipo di ancoraggio, che esso sia un fittone resinato, una placchetta, un golfare, ecc… un po’ per semplicità (è una parola breve e ormai conosciuta nell’ambiente) ed un po’ perché essendoci poca o nessuna informazione (o ancor peggio mal informazione) spesso si è convinti che davvero, tutti i tipi di ancoraggi siano definiti così… ho sentito qualcuno chiamarlo addirittura split… e che cos’è, giochiamo a bowling?
Naturalmente scherzo, il fatto è accaduto davvero ma non me ne voglia chi ha commesso questo comprensibile errore… con il passaparola accade anche di peggio!
In tutti i casi, questo ormai sorpassato tipo di tassello ci sembra insicuro, pericoloso e via dicendo rapportato all’utilizzatissimo sistema a fittoni inox resinati chimicamente, ma ci sarebbero da precisare alcuni punti.
In primis, è necessario valutare su che tipo di roccia viene fissato; è ovvio che, il sistema a resina e fittoni rimane sempre il più sicuro in tutti i casi e su qualsiasi tipo di roccia (previa esecuzione di posa del fittone resinato seguendo tutti i crismi)… ovviamente c’è sempre “un caso su mille” in cui persino un resinato si muove o si stacca (ma c’è sempre un motivo ben preciso).

Nel caso, ad esempio, del calcare delle falesie di Finale Ligure, negli anni 80′ il tassello tipo spit era molto utilizzato e reputato l’ancoraggio per eccellenza; era l’unico tipo di tassello che si poteva fissare manualmente (tramite un percussore) quando ancora i trapani a batterie non erano così diffusi ed è stato una rivoluzione perché ha permesso agli apritori di allora di attrezzare vie dove non vi erano fessure o buchi dove piantare cunei di legno o chiodi tradizionali da fessura e clessidre ed alberi dove strozzare cordini.
Con il tempo ci si è accorti che il calcare di Finale era talmente tenero ed alveolato da “cedere” (nei decenni) alle sollecitazioni dei “voli” degli arrampicatori, o meglio, il tassello un volo dopo l’altro, tendeva a fuoriuscire dal foro che lo alloggiava “mangiando” la roccia poco a poco.
Resta il fatto che, uno spit ben piazzato, anche se su calcare tenero, è comunque una buona protezione ed anche dopo decenni e molte sollecitazioni non è tassativo che fuoriesca o divenga pericoloso.
Non tutto il calcare del Finalese è uguale; io purtroppo non sono un geologo e, per cui, vi posso parlare solo da chiodatore e basarmi sulle mie esperienze personali.
Queste mi hanno portato a notare che, ad esempio, il calcare della falesia di “Lacremà Inferiore” (Calvisio) è uno dei più duri e compatti del Finalese mentre quello di “Bocca di Bacco” (Rian Cornei) è uno dei più morbidi ed alveolati.
Addirittura, a Lacremà, la roccia degli ultimi metri verso le catene è molto più dura e compatta rispetto a quella in partenza sui primi metri delle vie.

Un altro problema in cui ci si è imbattuti parecchi anni fa sono le piastrine in lega anodizzate (colorate).
L’errore più diffuso è stato pensare che fossero solo quelle colorate a creare problemi.
In pratica, accadeva che, a distanza di anni dalla posa di placchette in lega leggera montate su spit (o altri tasselli quali Fix, Fischer, ecc… ) queste si sfogliassero letteralmente e quel che c’era di peggio, che iniziassero a sfogliarsi dalla parte più a contatto con la roccia continuando verso l’esterno, occultando così il difetto a chi arrampicava (se questo non estremamente attento ai punti di ancoraggio).
Sembra che questo effetto corrosivo fosse dovuto all’interazione dei materiali componenti la piastrina con la presenza o meno di certi minerali nel tratto di roccia sottostante. Per effetto dell’acqua piovana, mediante un effetto galvanico, i materiali componenti la piastrina tendevano a trasferirsi sulla roccia sottostante riducendo questa come una torta millesfoglie… ma il colore (blu, rosso o altro) in realtà non c’entravano nulla.
Sempre in qualità di chiodatore e non di chimico o “tinteggiatore”, avendo anche smontato direi centinaia di vecchie placchette per poi richiodare le vie, vi posso assicurare che, anche le placchette non anodizzate (colorate) subivano lo stesso identico procedimento di “sfogliatura”. Ne possiedo ancora i resti per averne una prova concreta (…e vi posso assicurare che non si tratta di placchette scolorite).

Da prendere ancora in esame per quanto riguarda la chiodatura “a spit” ci sarebbe la vite che tiene unita la placchetta allo spit (o altro tipo di tassello che sia).
Esistono differenti tipi di ferro e acciaio con diversi “carichi di rottura”; non è da sottovalutare di certo la presenza di salino nell’aria specie nel caso di Finale Ligure; questa contribuisce ad accelerare moltissimo l’effetto di corrosione (ruggine) sul ferro, e la zincatura superficiale a poco può resistere.
La soluzione migliore è l’inox anche in questo caso.

A questo punto è naturale pensare che, a parità di messa in posa regolare, un tassello tipo spit piazzato su rocce molto dure (tipo granito) e lontano dal mare tanto quanto basta a non avere presenza di salino nell’aria, sia “più sicuro e durevole” di un altro piazzato nelle condizioni contrarie.

Da valutare inoltre quanto distanti tra loro sono state collocate le protezioni; è ovvio che, maggiore è la distanza che intercorre tra due ancoraggi e maggiore, al momento della caduta (volo di un arrampicatore) sarà la sollecitazione.

Per finire, i punti più a rischio, dove le probabilità di fuoriuscita di un tassello è maggiore, è guarda caso sul punto / punti duri (il passo chiave) della via ed in sosta (in pratica tra i punti più importanti della via.
Questo perché sul passo chiave è più probabile che il gruppo tassello / piastrina sia stato sollecitato violentemente con una caduta e, sulla sosta, perché sicuramente è stata sempre e comunque molto più utilizzata rispetto agli altri punti (calate, moulinettes) anche se in modo più statico (no cadute).
Le prove tangibili ne sono le famose “placchette che girano” che normalmente si trovano sui punti chiave dei tiri.

I tasselli tipo “spit” sono costruiti anche da altre aziende e, ovviamente, vengono chiamati con altro nome; esistono pure in versione acciaio inox… quelli utilizzati per decenni non lo erano di sicuro ed infatti sono stati, anche loro, intaccati dalla ruggine.
Situazioni in cui si utilizzano ancora gli spit sono quelle dove vi è la necessità di utilizzare immediatamente dopo la protezione (con la resina è necessario attendere X tempo prima di utilizzare l’ancoraggio) e dove un trapano a batterie sarebbe un peso ed un ingombro troppo elevato.

Ormai sorpassato, lo spit è stato rimpiazzato alla grande con il tassello tipo “fix”, molto più semplice e rapido nella posa e simile a livello di sicurezza.
Da non confondere con la ditta “Fixe” spagnola la quale produce ancoraggi per free-climbing, speleologia, ecc…
Anche questo nome, “fix”, è in realtà un nome abbreviato del tassello, sempre prodotto dalla ditta “Spit” costruito anche da altre aziende sotto altra denominazione.
Il nome completo è “Spit fix, ancorante metallico ad auto espansione“. Sia i tasselli Spit che Fix sono stati progettati in realtà per un utilizzo “da cantiere” (fissaggio di rotaie, guide di ascensori, ponteggi, ecc…) adattati poi alla nostra disciplina sportiva accoppiandoli con piastrine ed anelli.
Il tassello tipo spit era comunque già segnalato sui cataloghi come “speciale per alpinismo”.

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COME NASCONO I FITTONI INOX RAUMER…

Tutto ha inizio da una barra di TRAFILATO in acciaio inox ” AISI 304L”.
L’acciaio 304L ha particolari caratteristiche di “resilienza (tenacità)” che lo rendono particolarmente adatto all’utilizzo per l’arrampicata sportiva.
La lettera “L” sta a significare che l’acciaio è “solubilizzato”; la solubilizzazione è un trattamento che aumenta la resistenza alla corrosione.

Le barre vengono tagliate in spezzoni a misura con una TRANCIA che realizza alle estremità un taglio a 45° il quale ha lo scopo (nel caso di utilizzo con fiale di resina poliestere) di rompere l’ampolla in vetro e di mescolarne il contenuto. Inoltre, si riduce la probabilità di formazioni di bolle d’aria.

In seguito, con una CURVATRICE e con una attrezzatura adatta, si piegano gli spezzoni tranciati.
Questa macchina realizza le varie “curve” dove l’ultima, chiude l’ancoraggio.

A questo punto, predisponendo opportunamente i pezzi su una “dima” si interviene con la fase di SALDATURA la quale viene realizzata con un procedimento particolare chiamato “TIG” (Tungsten Inert Gas) il quale consiste nell’ ottenere un bagno di saldatura dove i due elementi (lembi) da saldare vengono “fusi” assieme con l’apporto di altro materiale della stessa natura.

I pezzi vengono successivamente introdotti all’interno di una macchina chiamata BURATTO nella quale, nell’arco di circa 20 ore, si smussano tutti gli spigoli e le “bave” presenti sugli ancoraggi.

Si interviene poi con la fase di PRESSATURA per imprimere il marchio ed i carichi di rottura.

Con una particolare macchina chiamata RULLATRICE tutti i pezzi vengono sottoposti alla lavorazione di zigrinatura sul codolo dei fittoni che servirà poi alla resina per “aggrapparsi” saldamente allo stesso.

Infine, tutti i pezzi vengono sottoposti ad un LAVAGGIO seguito da un trattamento chimico mediante immersione in un acido DECAPANTE il quale rende la superficie dei fittoni uniformemente grigia chiara e opaca con il risultato estetico di minor “visibilità”. Con questo processo si aumenta inoltre la resistenza alla corrosione.

TEST:
Sui fittoni tipo SUPERSTAR (10X80 = art. 160) dichiarati per un carico di rottura minimo di 35Kn, test francesi ne hanno in realtà testato, con resine molto buone, anche di 70Kn, dove il fittone non si è comunque rotto ma l’occhiolo si è allungato di alcuni centimetri e si è poi “sfilato” dalla resina (test effettuato ad estrazione).

Sui fittoni tipo ANTRAX 8X80 = art. 298) dichiarati per un carico di rottura minimo di 22Kn, test hanno rilevato valori superiori ai 33Kn con le stesse modalità di “rottura” delle prove sui “superstar”.
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RINVIO A MODI DI DIRE…

La parola rinvio nella lingua italiana assume vari significati a seconda del contesto ma, in linea generale, ha il senso di mandare indietro, mandare di nuovo, respingere, rispedire. Trattandosi di arrampicata sportiva la parola rinvio è riferita ovviamente alla corda la quale viene per cui “mandata indietro, respinta, allontanata” dal chiodo di protezione.

L’abbinata moschettone/fettuccia/moschettone non ha un suo nome proprio come può essere la corda, il grigrì, l’imbrago, ecc… ma bensì, un nomignolo che può cambiare da regione a regione o nazione e, spesso, questo nomignolo ha una ragione legata ad un movimento che si compie nella vita quotidiana.

Vediamo subito uno dei modi di dire più curiosi;

In Francia, il corridpondente di rinvio è “Dégaine”; la ragione di questo nome è dovuta al gesto che si compie nello sganciare il rinvio dall’imbrago che, ricorderebbe, lo sfoderamento della pistola dalla fondina (il verbo è Dégainer), per cui, “Dégaine”.

Un altro modo curioso lo abbiamo con il nomignolo “Taxi” utilizzato principalmente nella zona di Pavia.
Questo è motivato invece dal gesto che si compie inserendo il “rinvio” nel chiodo il quale, ricorderebbe il movimento che si esegue quando si intima l’alt ad un taxista per salire a bordo.

Un altro ancora è “Binomio”, utilizzato forse più in Italia centrale.
C’è anche chi lo chiama “Rapido”…

Per quanto riguarda la Germania abbiamo “Express”, mentre invece per l’Inghilterra è “Quick draw”.

Insomma, posto che vai, nome che trovi, l’importante è capirsi e chissà in quanti altri modi questo aggeggio viene chiamato e perché. Magari voi stessi ne conoscete altri; se così è, potete scrivermeli e magari spiegarne il significato, che spesso risulta essere divertente. Io potrò aggiungerli a quelli già elencati rendendo l’articolo sempre più curioso, interessante ed utile per capirsi…

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Alla prossima…Marco (Thomas) Tomassini